Perchè rimettere le preferenze.

on 22 Febbraio, 2015

Può un parlamento eletto in modo incostituzionale modificare la Costituzione? Quando uscì la sentenza della Corte Costituzionale contro il porcellum (n. 1/2014), tacitamente si decise di non fermare la macchina, perché la toppa sarebbe stata peggiore del buco. Se tutti gli atti compiuti da un Parlamento di nominati fossero decaduti, perché ritenuti illegittimi, sarebbe saltato il principio dell'affidamento e sarebbe ulteriormente accresciuto il clima d'incertezza, in una fase di crisi economica già drammatica. Altrettanto dicasi se si fosse andati subito alle elezioni. E' lecito, però, riporsi il quesito, dal momento che si sta seguendo l'indicazione di rifare una legge elettorale parzialmente improntata sul medesimo principio, quello dei capilista bloccati. Un criterio di sostanziale autoconservazione della classe politica, come è nell'intento di gran parte delle leggi elettorali. Che la rappresentanza parlamentare fosse una foglia di fico lo aveva già messo in luce, alla fine del settecento, Emmanuel J. Sieyes, quando propose le liste di fiducia, chiarendo che l'autorità viene sempre dall'alto, mai dal basso. Forse per questo alcuni autorevoli studiosi hanno sostenuto che le preferenze siano farina del diavolo. Tuttavia, le conseguenze di un Parlamento slegato dalla realtà del Paese sono sotto gli occhi di tutti; un Parlamento che non legifera, ma solo acconsente alla decretazione d'urgenza del Governo, sotto la pressione dei voti di fiducia che potrebbero mandarlo a casa. Si è allargato a dismisura lo iato tra Paese Legale e Paese reale; una distinzione nata quando l'elettorato attivo era limitato dal censo e che oggi deriva anche dalle limitazioni imposte all'elettorato passivo. E' da troppi anni, ormai, che i parlamentari – fortunatamente, non tutti - sembrano del tutto incapaci di mantenere un legame col loro collegio, da cui non dipende più la probabilità della loro rielezione. E' vero; in passato c'era il clientelismo, il voto di scambio e la corruzione. Cosa c'è rimasto? La corruzione, senza più alcun legame tra politica e territorio, tra rappresentanti e rappresentati. Bei tempi quelli in cui i politici facevano la spola con il loro collegio, spiegando cosa facevano a Roma e ascoltando le lagnanze della gente. Ridateci, quindi, la possibilità di scegliere e, soprattutto, quella di non scegliere chi più non vogliamo. Perché i politici di professione, di cui parlava Max Weber, ben distinti dai pochi che vivono per la politica, devono tornare a capire che ottengono le loro prebende, tanto per il placet dei capipartito, quanto per quello dei loro elettori, cui devono un minimo di considerazione. Altrimenti, è troppo forte la sensazione che i cittadini null'altro siano che sudditi, sottoposti a tributo. In conclusione, torniamo al quesito di partenza. La risposta è nel referendum finale, a patto che non si trasformi in un prendere o lasciare. Perché è evidente che siano molte le cosa da cambiare e che siano diverse le proposte in gioco. Si potrebbe optare, perciò, per un referendum tra soluzioni alternative. Un po' come si fece il 2 giugno 1946: monarchia, o repubblica? E oggi: si vuole poter scegliere, o solo lasciar scegliere? Sarebbe bello far rinascere la democrazia, così come si fece con la Repubblica.

10/02/2015

Michele Tronconi

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